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Serie di articoli News

STORIE DI CALCE#28
DA CINGOLI, IL RACCONTO DI
MARIA SOLE FABRIZI

Con Storie di Calce raccontiamo le esperienze di clienti, appassionati e di tutti coloro che lavorano con la calce. Spunti, aneddoti e, perché no, qualche esempio delle realizzazioni che si possono fare con i nostri materiali.

Questa è una storia di calce atipica: abbiamo intervistato Maria Sole Fabrizi, architetta e fotografa che ci ha raccontato il suo progetto di ricerca dal nome La pelle delle città. Non abbiamo parlato di calce, ma di città, di materiali che costituiscono gli edifici dei nostri centri urbani e di come i rivestimenti siano paragonabili alla pelle umana. Un parallelismo che ci ha subito ricordato l’articolo di Benrhard Furrer pubblicato nel 2011 all’interno del volume Riuso del patrimonio architettonico e cha abbiamo riassunto qui.

Cogliamo l’occasione di ringraziare Maria Sole per aver condiviso con noi la sua esperienza.

Buona lettura!

Ci parli di lei e del suo percorso professionale

Dopo diversi anni a Roma, dove ho studiato e lavorato come architetta, ho deciso di tornare a Cingoli, il mio paese natale conosciuto anche come il Balcone delle Marche. Il nome è dovuto alla sua vasta terrazza panoramica sulle mura castellane da cui la vista spazia su gran parte del territorio marchigiano con la cornice naturale del Mar Adriatico e del Monte Conero. Nonostante il trasferimento, ho continuato la mia ricerca fotografica sui tema della forma del paesaggio e dell’architettura. In questa mia ricerca rientra il progetto La pelle delle città.

La pelle delle città: ci racconti tutto del  progetto

La pelle delle città è un progetto fotografico che vuole mettere in evidenza il ruolo determinante dell’involucro esterno che compone la «pelle» del tessuto urbano. Lo sguardo si concentra su una piccola parte della costruzione per mettere in secondo piano la veste decorativa e la conseguente delimitazione tra interno ed esterno, favorendo il racconto trasmesso dal rivestimento. Allo stesso modo dello strato che ricopre il nostro corpo, l’architettura mostra la sua storia, l’età, i segni fatti dal tempo e le imperfezioni dei materiali che rendono unico il luogo e la costruzione.

Qual è l’obiettivo di questa ricerca?

Lo scopo della ricerca è seguire gli infiniti mutamenti del tempo che rendono la scoperta dinamica e in continua evoluzione. Il progetto vuole favorire il concetto di città come organismo vivente, un corpo formato da architetture, da stratigrafie e dagli stimoli provenienti dall’essere umano e dal paesaggio circostante. Cito testualmente l’architetto Benrhard Furrer, da voi condiviso, per le analogie riscontrate nel mio lavoro fotografico «Se le rughe del viso sono simbolo del tempo che passa e della vita vissuta, i segni del tempo su un edificio sono testimonianza di epoche, stili e conoscenze del passato.»

Quali materiali le capita di fotografare più spesso? E quali sono i più belli?

Non ci sono materiali specifici, mi lascio trasportare dal luogo in cui mi trovo, seguo la conformazione urbana e quando lo sguardo si ferma su un particolare architettonico analizzo il contesto, la forma e cerco un segno che indentifichi la stratigrafia, la storia del soggetto ritratto.

Un aneddoto che vuole raccontarci.

La pelle della città nasce in una giornata in cui sono arrivata, stranamente, in anticipo ad un incontro di lavoro. In attesa dell’orario ho iniziato a camminare tra le vie di un borgo marchigiano osservando come le facciate di costruzioni differenti riescano a creare un paesaggio continuo e, al tempo stesso, ben scandito da segni lasciati dal sisma, da stili appartenenti ad epoche diverse e dal tempo. 

Foto di Maria Sole Fabrizi. Tutti gli scatti sono visibili sul profilo Instagram Maria Sole Fabrizi.

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