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Serie di articoli News

STORIE DI CALCE#21
DA GENOVA, IL RACCONTO DI CLAUDIO MONTAGNI ARCHITETTO

Con Storie di Calce raccontiamo le esperienze di clienti, appassionati e di tutti coloro che lavorano con la calce. Spunti, aneddoti e, perché no, qualche esempio delle realizzazioni che si possono fare con i nostri materiali.

In questo appuntamento abbiamo intervistato l’arch. Claudio Montagni, dello Studio Architetto Claudio Montagni di Genova, esperto di restauro monumentale. Ci ha raccontato la sua storia e perché utilizza la calce all’interno dei cantieri che progetta e dirige.

Buona lettura!

Ci racconti del suo lavoro e perché la scelta della calce

Da oltre 45 anni mi dedico esclusivamente al restauro monumentale, ambito in cui ho compiuto centinaia di interventi a Genova e su tutto il territorio nazionale. In questo contesto ho sempre privilegiato lo studio dei materiali e delle tecniche preindustriali, cercando di rinnovare tradizioni ormai dimenticate nella prassi dei cantieri attuali. Sin dagli anni ‘80, assieme al compianto prof. Tiziano Mannoni, abbiamo perseguito diverse ricerche sui leganti antichi in area ligure, di cui si avevano solamente delle rare notizie documentarie, dal XVI secolo in poi. Sono dei primi anni ‘90 alcune mie pubblicazioni in tal senso.
Sembra quindi evidente che l’uso della calce da parte mia sia stato semplicemente una logica di percorso, in considerazione delle evidenti incompatibilità di molti materiali contemporanei con la pratica del restauro.

 Quando ho iniziato ad occuparmi di restauro, era molto difficile trovare del buon grassello di calce e, conseguentemente, mi misi subito alla ricerca dei siti che ancora producevano calce con metodologie tradizionali. Le quantità che si riuscivano a rimediare erano piuttosto modeste e la qualità non sempre era all’altezza del lavoro da eseguirsi. Ricordo una realtà complicata, dove il calcare proveniva dalla provincia di Terni e la fornace per la cottura era situata nella valle della Biassa, dietro La Spezia. La calce era ottima, ma la fornace fallì miseramente dopo alcuni anni, per mancanza di clientela, poiché la produzione era troppo di nicchia per il periodo. Era davvero difficile reperire calce di qualità, sopratutto grassello invecchiato. Fortunatamente, l’amicizia con Andrea Rattazzi, socio fondatore di Banca della Calce, maturata nell’ambito di diversi convegni e all’interno della Commissione UNI-Normal –  di cui facevamo entrambi parte – contribuì ad ulteriori approfondimenti sull’argomento, insieme ad altri studiosi di tutta Italia. Tra i numerosissimi cantieri eseguiti si arrivò, in un caso, a costruire una fossa per lo spegnimento della calce viva. Fu quando, nell’ambito dell’insegnamento universitario, organizzammo un corso in collaborazione con la Scuola Edile Genovese, all’interno del quale venivano insegnate le tecniche tradizionali, compreso l’intonaco eseguito con leganti a base di grassello di calce. In tale contesto, furono  anche coinvolti come docenti vecchi maestri dell’affresco.

La calce alla porcellana

Ho iniziato a usare i prodotti della Banca della Calce sin da subito, ancora prima che la stessa nascesse ufficialmente. Con Rattazzi cominciammo a parlare anche di ricette particolari, tra cui la calce alla porcellana, usata a Genova sin dal periodo medievale, e basata sulla consuetudine di idraulicizzare la calce aerea con il metacaolino, in considerazione che la porcellana si fabbrica con il caolino. Nei documenti d’archivio si trova il termine dialettale pursellanaa, che inizialmente, a causa delle calligrafie notarili, si confondeva con la pozzolana, che a Genova arrivò molto più tardi e attraverso un’operazione che oggi si definirebbe di spionaggio industriale.

La pozzolana, però, non ebbe fortuna nella Repubblica Genovese, dove l’idraulicizzazione si otteneva con il metacaolino e la loppa del basso fuoco macinata, tecnica usata soprattutto per l’intonaco da cisterna. Fu una delle ricerche a cui, con Tiziano Mannoni, abbiamo dedicato più tempo, moltissimi anni, con metodologie iniziali che definire arcaiche equivale ad un eufemismo. Tuttavia, riuscimmo a ottenere la presa e l’indurimento dell’impasto sott’acqua, come dalla classica definizione dei leganti idraulici.

L’approvvigionamento del caolino aveva risvolti di eroicità o, se si preferisce, di cocciutaggine: andavamo ad Allumiere, nei Monti della Tolfa dietro Civitavecchia, da dove storicamente proveniva il caolino che si usava a Genova; lo cavavamo a mano in cave dismesse, chiedendo l’autorizzazione al proprietario: era un bel caolino, bianchissimo. Inizialmente lo usammo crudo, ovviamente senza nessun esito. Successivamente, iniziammo la cottura nel forno di un ceramista, l’unico dotato di pirometro, fino quando raggiungemmo una temperatura che innescava la reattività del caolino, nel frattempo trasformato in metacaolino. Per cui quando la Banca della Calce fu in grado di fornire il metacaolino, oltre il grassello convenientemente stagionato, per me fu una semplificazione notevole, che mi evitò da quel momento ricerche affannose e spesso deludenti.

Molti sono i cantieri in cui ho usato la calce e il metacaolino della Banca della Calce, ne cito solo alcuni: il Palazzo  Senarega a Genova (XVI secolo), il Palazzo Grillo a Genova (XVI secolo), il Battistero della Cattedrale di San Lorenzo di Genova (XVI secolo), la Cupola della Cattedrale di San Lorenzo di Genova (XVI secolo), opera di Galeazzo Alessi, la Cupola della Basilica di S.M. Assunta di Carignano a Genova, opera di Galeazzo Alessi.

Una brevissima riflessione sulle malte, i beni culturali e la normativa

In base alla mia esperienza posso, innanzitutto, affermare che il problema principale non è tanto la disponibilità di normativa sulle calci, ce n’è fin troppa, ma la poca chiarezza su tecniche e materiali da usarsi, effettivamente sui cantieri. Ciò è legato ad una bassa conoscenza delle tecniche costruttive pre-industriali, sia a livello di progettisti sia a livello di artigiani-restauratori.
Accade spesso che anche dalle Soprintendenze non arrivino sufficienti indicazioni circa le malte e i prodotti da utilizzarsi per ciascun specifico intervento. Se si aggiunge che ormai è stato sdoganato l’uso di comuni premiscelati anche nei lavori di restauro e conservazione più importanti, è evidente che ci sia qualcosa da rivedere. 

In foto, da sinistra: Cupola della Cattedrale di San Lorenzo (Genova), Cupola della Basilica di S.M. in Carignano (Genova), Battistero di San Lorenzo (Genova), Palazzo Senarega (Genova).

I PRODOTTI USATI DA CLAUDIO MONTAGNI

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