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Calce bianca e peste nera

Esistono il bianco ed il nero sulla tavolozza di un pittore, ma anche nella vita e nella storia: due colori che ci raccontano di una contrapposizione, di una sfida.
La peste nel medioevo era nera, spaventosa, minacciosa, arrivava come una falce a spazzare vite e destini. La calce bianca, pura, alcalina
era in grado di contrastare l’epidemia che ha colpito un terzo della popolazione europea.

Peste nera

Calce e peste nera in europa di Banca della CalceÈ una malattia infettiva causata dal batterio Yersinia pestis, che vive abitualmente nei roditori e nelle loro pulci parassite. Esistono tre forme di malattia, ma la più letale per l’uomo è la peste polmonare che si trasmette attraverso l’aria ed ha quindi un potenziale epidemico elevatissimo.

Nel 1350 l’Italia e l’Europa stavano vivendo un periodo di depressione economica da oltre un quarantennio, causato dal fatto che l’espandersi vertiginoso delle città, delle manifatture tessili, dei commerci internazionali aveva arricchito soltanto i ceti mercantili. I contadini, pertanto, erano stati costretti ad abbandonare le campagne per trasferirsi in massa nelle città. Questa condizione critica aveva favorito l’abbassamento delle difese immunitarie, per via di scarsa alimentazione e mancanza di igiene, creò terreno fertile per il dilagare di epidemie.

La malattia era assente dall’Europa da oltre cinque secoli, ma la pausa fu tragicamente interrotta da un’azione spietata. Nel 1347, durante l’assedio di Caffa, scalo commerciale della città di Genova in Crimea, da parte dell’esercito dei tartari, fu deciso di espugnare la città catapultando oltre le mura i corpi dei soldati orientali, morti proprio di peste. I marinai genovesi, ormai contagiati, non poterono che fuggire e, sbarcati a Messina, diffusero in Italia e nel Mediterraneo il temutissimo flagello.

Calce bianca

Calce grassello di Banca della CalceIl 1656 poi fu un annus horribilis per il Mezzogiorno d’Italia, colpito dall’epidemia con straordinaria virulenza.
Come spesso accadeva allora, difronte ad eventi umanamente incomprensibili e scientificamente lontani dalla qualsivoglia risoluzione, le risposte si cercavano nel soprannaturale, nella provvidenza, nella protezione divina.

Alcuni paesi come Ostuni, in provincia di Brindisi, rimasero inviolati dalla pestilenza, forse ad opera dei miracoli di S. Oronzo, ma certamente anche grazie ad una consuetudine dei loro abitanti: quella di tinteggiare a calce gli esterni delle abitazioni.

La calce, che ancor oggi si impiega in questi borghi pugliesi per imbiancare i muri, non è altro che pietra calcarea locale, cotta in specifiche fornaci e poi ridotta in polvere.
Sciolta successivamente in acqua, dava vita ad una forte reazione chimica endotermica e ad un prodotto, il latte di calce, notevolmente basico e in grado di  ‘bruciare‘ con la sua causticità ogni sostanza organica con cui veniva a contatto, compresi batteri della peste.

La calce, con le sua proprietà altamente disinfettanti, forse più dei santi e delle preghiere aveva dunque protetto dalla peste la città di Ostuni e coloro che ne avevano saputo fare uso sapiente.

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